mercoledì 9 gennaio 2008

lavorare con lentezza

Aprì la porta che erano quasi le cinque. L'impermeabile era zuppo d'acqua e le gocce scnedevano velocemente sul parquet di poche centinaia di euro. La porta era nuova e chiudendosi, nel silenzio dell'ora tarda fece un tonfo che risuonò nei tre piani del codominio. Abitava in un seminterrato che lì al nord potranno anche chiamarlo come gli pare, ma in fin dei conti è sempre un seminterrato. Attraversò il lungo corridoio al buio e fece per entrare in camera sua quando si accorse della luce accesa in cucina. Spinse la porta con delicatezza: dal divano comparvero i suoi due gatti che ronzavano quieti sotto la lampada. Spense la luce e si spinse con calma verso la sua stanza. La porta si aprì.
Di fronte a lui il lettone era disfatto e le lenzuola odoravano ancora di pulito, sotto un piumone stinto da anni di duro lavoro e di vari traslochi.
Il divano sulla sua sinistra era colmo in ogni suo posto. La borsa da un lato, i cuscini al centro e la tammorra impolverata dall'altro. Di fronte al divano un letto piccolo che fungeva più da secondo divano che da letto. Pochi erano riusciti a dormire su quella branda e lui stesso, a due giorni dal suo arrivo, era corso in un negozio per comprare qualcosa di più consono alla sua schiena.
La scrivania era molto piccola e dava sulla finestra. Era sgombra, ma carica di monetine di rame, non proprio pochi spiccioli, che facevano intuire quanto poco lui avesse cura delle sue finanze. La luna quella notte non c'era e tutto era in silenzio; in lontananza però le prime luci dell'alba già prendevano vigore.
Fece cadere i suoi vestiti sul pavimento anch'esso di parquet. Era pulito a terra ma qua e la si poteva notare una pulizia non così perfetta e maniacale come quella che ci si era immaginati ad una prima occhiata.
Si stese su un fianco poggiando il braccio sinistro sotto il cuscino poggiancoci completamente la testa: di li a poco si sarebbe girato dall'altra parte poggiando il braccio ormai dolorante su un lato. Poi aprì di scatto gli occhi, come di chi ha dimenticato quancosa di vitale importanza e deve assolutamente intervenire. “Ma che cazzo me ne freca a mme” borbottò poi velocemente; infine richiuse gli occhi e si adormentò all'istante.

5 commenti:

esplanade ha detto...

raffaele scrive bene. è bello. non ha mai un dolore. sta lontano dal mondo. lontani dai problemi. perchè raffaele, diciamolo, non c'ha mai un problema. e così nelle sue ore morte consuma la sua fantasia scrivendo questi stralci di letteratura proto-industriale. bravo, piccolo raf. sei la mia soddisfazione più grande.

Anonimo ha detto...

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esplanade ha detto...

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GIOVANNI SPAMMA!!!
ATTENZIONE!!!
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Anonimo ha detto...

giovanni la pagherai...

Anonimo ha detto...

cuffaro si e' dimesso!!!evvive evviva!!!